“Uomo simbolo della Nazionale di pallavolo che ha vinto tutto, Andrea Zorzi parla a 360° di sport, pallavolo e di quello che le competizioni ci insegnano
Spiegare chi sia Andrea Zorzi a chi non lo conosce diventa difficile. Ci sarebbe da chiedersi perché non si conosce Andrea Zorzi. Un giocatore che con la pallavolo di squadra e con la Nazionale ha vinto tutto. Ma la cosa interessante è soprattutto l’uomo Zorzi, la sua testa. Perché con lui diventa estremamente interessante parlare di ciò che è stato il passato ma soprattutto di quello che è il futuro di ambiti che lo sport si limita a intersecare.
Oggi Zorzi continua a seguire il volley da protagonista, a volte come commentatore altre come analista. Ha scelto una vita nella quale tanti interessi sono meglio di uno e vedere le cose da più punti di vista è istruttivo. Non si è mai stancato di studiare e di analizzare ‘Zorro’… E parlare con lui vale quanto un corso di formazione professionale.
Andrea Zorzi, lo sport come formazione
Lo incrociamo al Convegno Card Lombardia, un evento che si occupa di organizzazione e formazione personale e professionale nella sanità pubblica in Lombardia. Zorzi deve presentare il punto di vista di uomo squadra in un’ottica di azienda pubblica e di servizi. Ma il concetto di team vale sempre e comunque? “No – dice Zorzi con estrema chiarezza – lo sport è uno splendido laboratorio nel quale è utile mettere a punto dinamiche che sono codificate da un regolamento. Tutto nello sport ha regole ben precise, cui tutti devono attenersi. Pensare di trasferire queste regole alla vita di tutti i giorni non è sempre valido e non può essere l’unica scelta vincente. Lo sport ci aiuta a capire alcuni aspetti che possono anche essere applicati alla vita di tutti i giorni. Ma chi fa sport, anche ad altissimi livelli, non ha la bacchetta magica”.
Sport e business, un algoritmo sempre più percorso e utilizzato: “É una relazione interessante e proficua per entrambi. Molte aziende devono tanto allo sport, almeno quanto lo sport ha avuto successo grazie agli investimenti delle aziende. Ma oggi, pensare che un fuoriclasse possa risolvere i problemi di un’azienda o illuminare il destino di una impresa, è un concetto un po’ forzato. Possiamo portare un’esperienza, un punto di vista, una logica che spesso su un campo funziona meravigliosamente. Ma è in un’azienda che si devono trovare applicazioni, attitudini e talenti che possono solo interfacciarsi all’esperienza sportiva. Ogni ambiente ha le sue soluzioni. Lo sport, proprio perché ci sono regole da rispettare, ha solo la capacità di adattarsi prima a un cambiamento che diventa motivo di ispirazione anche per altri settori”.
Sport e business
Per altro lo sport oggi è soprattutto business: “Oggi lo sport è Cristiano Ronaldo, con il suo trasferimento da 300 milioni. Ma anche LeBron James piuttosto che Lewis Hamilton. Il problema è capire che lo sport non è solo questo. Anche se è il business a dominare e a far parlare c’è molto di più. Ed è tutto molto più ampio di quello che si vede in superficie. Il vertice della piramide è altissimo. Ma c’è una base sulla quale lavorare che sostiene tutto: ed è quello il lavoro più difficile. Rendere la base più forte, ampia e solida”.
La pallavolo resta una grande passione, una base straordinaria soprattutto in Italia: “Vedere la pallavolo di oggi mi emoziona ancora tantissimo. É cambiata tanto rispetto a quella che giocavo io. Ma non mi sentirete mai dire… ‘era meglio prima’. Era diverso. Sentiremo sempre dire che era meglio prima dalla generazione di quelli che sono arrivati prima di noi. Secondo me certe evoluzioni sono state davvero troppo dirompenti: a volte credo sia utile fermarsi e capire se stiamo andando davvero nella giusta direzione. Perché facendo tutto in modo estremamente veloce, il rischio è quello di dover cambiare strada all’improvviso perché ci siamo accorti di avere sbagliato traiettoria. Le tecnologie sono state un grandissimo vantaggio: giusto sfruttarle. Ma l’esperienza è una risorsa ancora fondamentale, spesso risolutiva”.
Pallavolo, lezione di campo e di vita
La nostra pallavolo è tornata ai vertici: “Giochiamo un volley splendido, abbiamo una grande capacità divulgativa e didattica nei nostri allenatori. C’è chi dice che sia troppo muscolare, troppo fisica. Io la guardo e rimango veramente colpito da ragazzi che hanno un adattamento mostruoso e che sanno fare tante cose e le sanno fare tutte bene. La cosa più difficile oggi non è solo essere ai vertici: ma restarci. Pensiamoci: negli altri sport non è diverso. É cambiato il calcio, è cambiato il tennis: sono cambiati gli strumenti, le regole, la loro applicazione. Bisogna adattarsi e capire come cambiare il sistema perché sia più equo. E perché la competizione sia avvincente. Ma lo sport è una competizione: lo è da sempre, per definizione. E io dico… meno male”.
Vince sempre il più forte? “Nello sport come nella vita se vinci c’è sempre un perché. Lo sport ti aiuta a capire alcuni aspetti che spiegano una vittoria. Non tutti. E non tutti questi principi potranno essere applicati alla vita di tutti i giorni. Ma se continuiamo a fare sport e a promuoverlo, considerando il campo un laboratorio protetto, sarà più facile avere elementi utili a comprendere l’evoluzione delle dinamiche che ci circondano”.
Andrea Zorzi: “Usciamo dai soliti luoghi comuni”
In questo villaggio globale estremamente digitalizzato lo sportivo è ancora considerato un punto di riferimento. Ma lo sport ci guadagna? “Lo sportivo una volta era un testimonial perché aveva vinto tanto. E tutti lo consideravano un promotore estremamente credibile. Ieri Paola Egonu a Sanremo è stata una straordinaria protagonista che sicuramente ha fatto bene anche alla pallavolo e allo sport. Anche io e Lucchetta anni fa siamo stati a Sanremo. E la nostra presenza bastò in quell’ambiente e in quella dimensione perché all’epoca Sanremo faceva volume per una intera stagione. Oggi non è più così. Lo sport deve comunicare tanto, sempre e bene. Bisogna essere capaci di creare interesse portando valore autentico. E il nostro valore in quanto sportivi è il campo.
Il rischio è quello di comunicare troppo, o male: “Oggi comunicare significa anche evitare di cadere in luoghi comuni troppo facili. L’eguaglianza, l’inclusione… tutto giusto. Ma lo sport è competizione: e la competizione spesso è la cosa meno inclusiva ed equilibrata che esista. Dobbiamo pensare spazi nuovi e portare i ragazzi ad allenarsi capendo che lo sport non ha tutte le risposte: solo alcune. E valide solo per poche persone. Ma se portiamo la risposta giusta alla persona giusta lo sport – come qualsiasi altro valore aggiunto – avrà davvero un peso sostanziale nella vita dei giovani che avremo la fortuna di influenzare in modo positivo”.
Uomo simbolo della generazione di fenomeni della pallavolo italiana che ha vinto tutto, Andrea Zorzi oggi più che mai spiega che cosa distinguesse un campione da un fuoriclasse. La testa. Due titoli mondiali, tre europei, un argento olimpico, 325 partite in Nazionale quattro trofei nazionali, undici internazionali con Parma, Treviso e Milano.
La testa, una volta decisiva nella competizione oggi per lui si traduce nella capacità di spiegare cose estremamente complesse con la passione di chi dal campo sembra non essere mai uscito. In fondo il campo è intorno a noi, ovunque: azienda, università, scuola. Fate il vostro gioco: che sia leale, regolamentato e che soprattutto vi piaccia e vi costringa a metterci tutta la passione che avete.
Genovese, classe 1965, giornalista dal 1984. Vive a Milano da 30 anni. Ha lavorato per Radio (RTL 102.5), TV (dirigendo Eurosport per molti anni), oltre a numerosi siti web, giornali e agenzie. Vanta oltre cinquemila telecronache di eventi sportivi live, si occupa da sempre di sport e di musica, le sue grandi passioni insieme a cinema e libri. Diplomato al conservatorio, autore di narrativa per ragazzi.