Ammende fino a 50,00 euro ed arresto fino a 6 mesi
21 febbraio 2010
Da oggi i datori di lavoro che non rispettano in azienda le pari opportunità tra uomo e donna, vanno incontro a sanzioni più severe, con ammende che possono arrivare fino a 50.000 euro e, nei casi più gravi, all’arresto fino a 6 mesi.
Entra in vigore oggi, infatti, un decreto legislativo (n. 5/2010) che riforma il Codice delle Pari opportunità del 2006.
Le principali novità introdotte dal decreto.
1) Parità a tutto campo: si allarga il concetto di ‘divieto di discriminazione’ basata sul sesso. La parità di trattamento e di opportunità fra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione. Qui è considerata discriminazione diretta tutto ciò che comporta, per ragioni riconducibili al sesso, un trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra persona in situazione analoga. La discriminazione indiretta, invece, si verifica quando una persona è messa in condizioni di svantaggio rispetto ad un’altra di sesso diverso, da norme, prassi, criteri, atti o comportamenti, apparentemente neutri. L’eccezione prevista dalla norma è il mantenimento di ‘vantaggi’ specifici se questi sono applicati a favore del sesso sottorappresentato. Inoltre, nel nuovo testo del Codice, si ribadisce la tutela dello stato di maternità, vietando qualunque forma di trattamento meno favorevole nei confronti della lavoratrice in stato di gravidanza (o nei confronti della maternità o paternità).
2) Sanzioni più severe: la disparità di trattamento verso i lavoratori, uomini o donne, può costare al datore l’ammenda fino a 50mila euro e l’arresto fino a sei mesi. Prima la sanzione pecuniaria arrivava a un massimo di 206 euro, e l’arresto non oltre i tre mesi. Le sanzioni amministrative, inoltre, che prima potevano variare da 103 a massimo 516 euro, ora saranno da un minimo di 250 euro a un massimo di 1.500 euro.
3) Comitato Nazionale: cambia la composizione del Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità, istituito presso il ministero del Lavoro. Passa da 5 a 6 il numero dei componenti designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro. Inoltre al Comitato sono assegnati nuovi compiti: tra questi la possibilità di richiedere alla Direzione provinciale del lavoro (Dpl) una sorte di ‘ispezione’ indiretta, attraverso l’acquisizione di dati sulle assunzioni, sulla formazione e sulla promozione professionale, per verificare l’assenza di discriminazioni in azienda.
4) Pensioni complementari: vietata qualunque forma di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari, sulle regole di accesso, sull’obbligo di versare i contributi e sul calcolo delle prestazioni. Alla Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, viene riconosciuto il potere di verificare i dati attuariali dei Fondi pensione, al fine di giustificare eventuali deroghe.
5) Molestie sessuali: anche le molestie (comprese quelle sessuali) vengono considerate ‘forme di discriminazione’. Si tratta di comportamenti indesiderati adottati per ragioni inerenti al sesso e che ledono la dignità della lavoratrice o del lavoratore. Anche i trattamenti meno favorevoli applicati alla persona ‘non compiacente’, cioè che si sia rifiutata di sottomettersi alle molestie, sono considerati discriminanti.