Matteo Renzi avrà anche tagliato le tasse sul lavoro, ma ha deciso di aumentare le tasse sulle rendite finanziarie. La tassazione passerà dal 20% al 26% per garantire al governo un’entrata di 2,6 miliardi. Renzi, però, sottolinea che si starebbe parlando solo di azioni: i titoli di Stato non si toccano.
Al momento, però, non è stato chiarito se la rimodulazione delle aliquote toccherà tutti gli investitori, compresi i patrimoni finanziari più piccoli. Se cioè le aliquote resteranno uguali per tutti, indipendenti dal reddito e fuori dall’idea di progressività della imposizione fiscale.
Ma quanto inciderà l’aumento. Mario Seminerio, autore del blog phastidio.net, ha fatto i seguenti conti.
Esempio: un deposito bancario da 100.000 euro, con rendimento annuo lordo del 2%.
Reddito da interesse (la “rendita pura”): euro 2.000;
Ritenuta d’imposta 26%: euro 520;
Imposta di bollo 2 per mille: euro 200;
Totale prelievo: euro 720;
Pressione fiscale totale sul reddito da capitale prodotto dal deposito: 720/2000 = 36%
La media dell’aliquota per l’Unione è calcolata intorno al 25%: in Francia e in Germania il peso effettivo delle tasse sulle rendite finanziarie ammonta rispettivamente al 26,3% per i tedeschi e a più del 39% per i francesi. Ma in Francia nella dichiarazione sono previsti notevoli sgravi fiscali sugli investimenti.
Quindi nulla da eccepire, se si guardasse all’Europa. In Italia, però, sui nostri risparmi grava anche un’altra “tassa oscura” la cosiddetta mini-patrimoniale sui conti correnti, ovvero l’imposta di bollo del 2 per mille.
Questa, in realtà, non c’entrerebbe niente con le rendite, ma effettivamente è un balzello che si versa allo Stato sia che si guadagni, sia che l’investimento sia in perdita.
Tirando le somme, quindi, si scopre che con l’aliquota sul cosiddetto capital gain passata dal 20 al 26%, in realtà l’esborso reale del risparmiatore arriverà fino al 36%, cioè il più alto d’Europa.