Ma quanto vale Facebook, il social network che ha reso miliardario il suo fondatore Mark Zuckerberg? La domanda rimbalza ai quattro angoli del globo, negli ambienti finanziari, dopo un debutto, nella cinica e scafata Wall Street, che non avrebbe potuto essere maggiormente rovinoso per la rete sociale più famosa del mondo. Comprensibile che se lo chieda il magnate russo Alisher Usmanov, considerato l’uomo più ricco del Paese dell’Est Europa, uno con un capitale da 20 miliardi di dollari. Saranno pure noccioline per lui. Ma fatto sta che, tra i principali azionisti di Facebook con il 5,5% del pacchetto, si è ritrovato in un batter d’occhio con 300 milioni in meno in cassaforte. Un capitale bruciato mentre il titolo viaggiava sulle montagne russe, per poi cadere in picchiata. Comprensibile, poi, che se lo chiedano anche gli analisti finanziari che ora stanno contando le pulci a Morgan Stanley, la banca che è tra le responsabili dello sbarco in Borsa della creatura di Zuckerberg. Ma se Usmanov si lecca le ferite non sta facendo altrettanto il gruppo degli azionisti che ha avviato una causa collettiva contro la società , il suo fondatore e amministratore delegato e la stessa Morgan Stanley. L’accusa non è da prendere sottogamba, visto che ai vertici di Facebook è imputata la colpa di non avere prontamente comunicato agli investitori che le stime di crescita erano state ridotte in modo significativo dagli analisti prima dell’Ipo miliardaria, vale a dire l’offerta al pubblico dei titoli della società . O meglio che erano state comunicate solo a un gruppo di investitori privilegiati. E, sospetto o certezza che sia, si tratta di una quelle accuse che nei mercati finanziari lasciano il segno e candidano le società finite sotto la lente di ingrandimento a correre il serio rischio di rivelarsi un bluff. E difatti oggi tutto ruota intorno a un balletto di numeri sul valore reale del social network, che negli Stati Uniti ha già cominciato mostrare la corda, insidiato da altre reti sociali in vertiginosa ascesa come Twitter. Non giova al leggendario fondatore il fatto che la causa collettiva è nelle mani dei mastini newyorkesi dello studio legale Robbins Geller, lo stesso che è riuscito a ottenere risarcimenti per 7 miliardi di dollari da Enron. Sotto tiro anche Nasdaq OMX Group, la società che controlla l’indice su cui è quotato Facebook, accusata da un singolo azionista per i ritardi nel collocamento dovuti a problemi tecnici che, secondo l’accusa, hanno portato gli investitori a subire gravi perdite. Come si concluderà il braccio di ferro resta naturalmente da vedere. Per ora si sa che quella avrebbe dovuto essere una partenza con il botto si è rivelata un mezzo disastro che ha messo in luce anche l’aleatorietà di Facebook, in un mercato finanziario, come quello statunitense, che raramente perdona. Zuckerberg ha ormai visto andare in fumo un quarto del valore di capitalizzazione della società , sceso in un battibaleno da una stima di 100 miliardi a 75. Stima, si badi bene, visto che il valore è destinato a scendere ulteriormente per una ricalibratura misurata sulle reali potenzialità del social network. L’avventura per adesso sembra aver insegnato una cosa: la fretta è davvero una cattiva consigliera, chi ha scelto di stare alla finestra potrebbe ritrovarsi nelle condizioni di acquistare a un prezzo appetibile.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore