Disoccupazione al massimo storico, debito pubblico alle stelle. Ma le manovre lacrime e sangue non salvano Madrid, che punta i piedi per non essere commissariata e perdere investitori. Spagna peggio della Grecia? Al momento resiste. Ma per quanto ancora?
Bastano alcuni numeri per capire la drammaticità della crisi economica e finanziaria della Spagna. E comprendere perché Madrid tiene l’Eurozona con il fiato sospeso. Il tasso di disoccupazione del Paese iberico è il più alto dell’area della moneta unica, è arrivato a sfiorare il 25%. Il debito pubblico, in corsa, nel 2013 supererà il 90% del Pil. L’esplosione della bolla immobiliare ha paralizzato il mercato. Le continue indiscrezioni su una possibile, imminente, richiesta di aiuto da parte del Governo spagnolo riescono a rasserenare per un po’ i mercati. Ma le resistenze dell’Esecutivo guidato da Mariano Rajoy fanno ripiombare gli investitori nell’incertezza e nel timore. Il primo ministro continua infatti a puntare i piedi. Non vuole passare alla storia come il premier che ha consegnato al triumvirato formato da Paese a Fondo monetario internazionale, Banca Centrale europea e Unione Europea. Equivarrebbe di fatto a un commissariamento, con tanto di umiliazione internazionale, certo. Ma non basta, c’è dell’altro.
I timori di Rajoy: la situazione potrebbe anche peggiorare
Chiedere aiuto a questo triumvirato permetterebbe di coprire i buchi di bilancio, con una iniezione di liquidità, e di ridurre lo spread, vale a dire il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato poliennali spagnoli e il Bund tedesco. Una boccata d’ossigeno. Ma potrebbe anche diminuire l’attrattività del Paese agli occhi degli investitori stranieri, innescando una ulteriore spirale depressiva. Ne sanno qualcosa la Grecia e l’Irlanda, che hanno ottenuto gli aiuti ma hanno perso rispettivamente, in due anni, il 19 e il 13% del Pil. Per ora Rajoy si affida alle manovre finanziarie lacrime e sangue. L’ultima, da 40 miliardi, si è abbattuta come una mannaia soprattutto sulla classe media. Una nuova stangata, l’estremo tentativo per salvare il Paese con una severissima austerity che colpisce un Paese già flagellato. Morale: stipendi pubblici di nuovo congelati e sfrondati dalle tredicesime, riduzione fino al 20% delle spese dei ministeri, soppressione delle detrazioni per l’acquisto della casa, una nuova tassa del 20% sulle vincite alla lotteria superiori ai 2.500 euro. Per tentare di far quadrare i conti il Governo deve anche recuperare l’aumento del 10% della spesa provocato dagli interessi del debito, volati a circa 10 miliardi. In arrivo anche una riforma del sistema pensionistico, con un ulteriore adeguamento dell’età pensionabile
Spagna peggio della Grecia?
In realtà la Spagna sta pagando un prezzo altissimo all’affacciarsi nel Paese di cinque gravi crisi, contemporaneamente. Una è politica, l’altra riguarda il sistema bancario, privo di liquidità. Poi c’è il crollo dell’economia, la crisi costituzionale, il debito pubblico che non accenna a diminuire. Un mix micidiale di fattori che fanno della Spagna un Paese ancora più pericoloso, per gli equilibri finanziari dell’Eurozona, della Grecia. Senza contare che il Pil della Spagna, tra le prime dieci potenze economiche del mondo, è notevolmente superiore a quello della Grecia, che nel 2011 non raggiungeva i 300 miliardi di euro. Cosa che contribuisce ulteriormente a spiegare la paura dei mercati finanziari. La disoccupazione – con il tasso più alto dall’avvento della democrazia, dopo il crollo della dittatura di Franco, unita all’impoverimento della classe media – ha diminuito il gettito fiscale e quindi le entrate, alimentando la crisi. Per ora Rajoy resiste, con la ricetta dei tagli. Ma quanto potrà durare?
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore