La crisi della Banca Monte dei Paschi di Siena potrebbe essere il campanello d’allarme di una nuova crisi economica. Anche se in Italia se ne parla poco. Quali potrebbero essere le conseguenze per le nostre tasche? E che ruolo ha la Germania?
La notizia in Italia non sta avendo grandissimo risalto, le news dei principali quotidiano parlano di altro: strage di Dacca, uscita dall’ospedale di Silvio Berlusconi, fatti di cronaca, strascichi deli Europei di calcio. Eppure se Wall Street Journal, Financial Times e Bloomberg dedicano addirittura le prime pagine alla situazione delle banche italiane, in particolare a quella di Monte dei Paschi, forse è meglio non sottovalutare il tutto.
Detto brutalmente: siamo vicina a una nuova pesantissima crisi bancaria, in stile Lehman Brothers?
Gli istituti in crisi, non solo Monte dei Paschi
Banca Etruria, Popolare di Vicenza, Veneto Banca. Ora Monte dei Paschi. Per molti di essi il problema è lo stesso: avere messo in bilancio quote di crediti “tossici” dal valore sproporzionato rispetto a quanto li acquisirebbe il mercato (e quindi valori non realistici che “falsano” i bilanci stessi).
Premessa: in qualche caso sono in corso anche indagini della magistratura, quindi non entreremo nello specifico, ma limitandoci a Monte dei Paschi: è il più antico istituto d’Europa, uno dei più importanti d’Italia e con ottimo radicamento. Il suo titolo è crollato così tanto che oggi ha una capitalizzazione estremamente bassa, sotto il miliardo di euro (per fare un esempio l’azienda di abbigliamento Yoox Net à Porter, fondata solo 15 anni fa, vale il doppio).
Il problema dei crediti insoluti
Qual è il problema di Monte dei Paschi? Ha prestato troppo, ha prestato a persone o aziende che non sono state in grado di restituire i prestiti e ora si trova in bilancio crediti insoluti, quindi crediti che difficilmente vedrà rientrare. Questo è un problema fisiologico per tutte le banche ma ovviamente la sua gravità dipende dall’entità complessiva di questi crediti e la crisi degli ultimi anni ha portato anche molti che avevano ricevuto prestiti e mutui a perdere il lavoro e ad avere difficoltà a restituire quanto dovuto. Aggiungiamo un sistema giuridico lentissimo e capiamo perché per una banca avere un cattivo pagatore diventa una iattura.
Per avere un’idea la Banca Centrale Europea ha chiesto a Monte dei Paschi di cedere 14,3 miliardi di crediti deteriorati entro il 2018, cioè entro 2 anni. Un miliardo è già stato ceduto alla fine del 2015. Di questa cifra enorme da cedere si stima di poter ricavare al massimo una quota tra il 20 e il 30% del totale. Quindi le perdite per Monte dei Paschi rispetto alla sua attuale capitalizzazione sarebbero notevolissime, ecco la ragione della continua sfiducia in Borsa. Una banca che “vale” un miliardo si troverebbe ad avere buchi di 3-4 miliardi e l’ovvia necessità di ricapitalizzare (si è ipotizzata una necessità di un intervento di ricapitalizzazione di circa 2 miliardi di euro) dato che la vendita sul mercato dei titoli di credito messi a bilancio con valore più alto creerebbe un buco nel bilancio stesso che andrebbe ripianato
Il titolo Monte dei Paschi viaggiava intorno ai due euro a metà 2015, attualmente è valutato a 0,291 (per un disastroso -73% fatto segnare nell’annata 2016).
Cosa accadrebbe con un fallimento di Monte dei Paschi?
Posto che per ora ovviamente si ragiona in termini puramente ipotetici e che tale ipotesi non pensiamo si potrà mai verificare ma un default di un istituto come Monte dei Paschi sarebbe pesantissimo per l’Italia (e non solo). Ricordiamo che lo stato garantisce i depositi solo fino a 100 mila euro e ovviamente non copre le perdite di borsa. Quindi sarebbero interessati numerosi risparmiatori, anche senza un grossissimo portafoglio, e con effetti di ricaduta su tutto il sistema difficilmente prevedibili.
Quali le possibilità per salvare Montepaschi?
La soluzione è ovviamente quella di trovare compratori di questi crediti al prezzo più alto possibile. Qualcuno, che non sia lo stato (in questo impossibilitato dalle leggi europee), sarebbe disposto a rischiare di acquistare crediti ad un prezzo più alto di quel 20% oggi ritenuto “di mercato”? Si riuscirebbe a raggiungere un 40% del valore, quota che sarebbe una decisiva boccata d’ossigeno per la banca ed eviterebbe interventi straordinari?
In questi giorni si è ventilato di un intervento di Atlante, il fondo costituito da alcune banche italiane e alcune assicurazioni che è già entrato in azione per Popolare di Vicenza (e oggi la controlla). Il fondo comprerebbe (una parte de) i crediti ad un prezzo che poi diventerebbe quello di riferimento anche per altri possibili acquirenti.
Una seconda alternativa è l’intervento indiretto dello stato, tramite Cassa depositi e prestiti, o tramite l’emissione di obbligazioni convertibili, una sorta di prestito come lo furono i Tremonti bond e i Monti bond. Lo stato parteciperebbe in sostanza alla ricapitalizzazione per un periodo limitato di tempo in modo da tamponare la situazione nell’immediato e poi vedersi restituire i soldi negli anni successivi. Chiaramente un intervento statale, per quanto limitato e sperabilmente “di ritorno”, significherebbe un costo pubblico. Costo che sarebbe molto più ampio però in caso di crack della banca con anche rischi di contagio.
E se il vero problema arrivasse dalla Germania?
Per noi italiani e per la storia finanziaria Mps è un grande istituto, ma ragionando a livello globale la sua caduta sarebbe probabilmente una (grossa) ondata in un mare agitato che colpirebbe in gran parte le coste tricolori.
Invece il timore più pesante di queste settimane sono i derivati di Deutsche Bank. L’istituto tedesco ha nel suo portafoglio qualcosa come 55 mila miliardi di euro di derivati finanziari, una cifra incredibile che corrisponde a 20 volte il Prodotto Interno Lordo tedesco e a 6 volte quello di tutta l’area Euro. I derivati, riassumendo brutalmente, dovrebbero essere prodotti “cautelativi”: il loro valore dipende dall’andamento di un altro bene (possono essere valute, azioni ecc.). Ad esempio posso tutelarmi dalla discesa di un titolo che ho in portafoglio con uno specifico derivato che in quel caso invece salirebbe. Ovviamente c’è chi acquista derivati anche a fine speculativo e in generale il mercato non valuta proprio benissimo avere una quota di derivati così eccezionale come ha Deutsche Bank.
Deutsche Bank ha perso il 55% da inizio anno e il Fondo Monetario Internazionale ha dichiarato che è “il più importante contribuente ai fattori di rischio sistemici”. Un crollo di Deutsche Bank, che per ora è solo fanta-finanza, sarebbe un disastro assoluto per tutta l’economia mondiale.