Alla fine, ancora una volta, è arrivata in soccorso la Bce. L’istituto di Francoforte diretto da Mario Draghi, in accordo con il fondo salva-Stati, acquisterà titoli di Stato per raffreddare la temperatura degli spread. Esattamente quello scudo chiesto dal premier italiano Mario Monti per tenere sotto controllo il differenziale dei rendimenti con il Bund tedesco. Indispensabile per lanciare una ciambella di salvataggio ai Paesi, come l’Italia, schiacciati da un debito pubblico alle stelle che, di fronte alla corsa senza freni degli spread rischiano la sciagura dell’insolvenza, non potendosi più finanziare sul mercato. Con un rendimento del Btp sopra il 6% si spalanca infatti uno scenario da brivido che evoca lo spettro di un default, un altro caso Grecia, con meccanismi difficilmente reversibili. Ma basterà l’accordo sullo scudo dell’Eurogruppo? La sconfitta dei Paesi contrari a manovre di contenimento sarà sufficiente a bloccare l’esplosione dei tassi? Nei giorni scorsi, sui mercati finanziari, è andata in scena la rappresentazione di uno scetticismo difficile da placare. L’involuzione della crisi dei debiti sovrani, che ormai da anni tiene in ostaggio l’Eurozona e la moneta unica, gli attacchi della speculazione, gli ondeggiamenti di Bruxelles, il braccio di ferro tra l’Europa guidata dalla Germania che non perdona conti allegri e l’Europa che non crede nella massima austerity come unica leva per uscire dalla crisi, l’assenza di una unità politica – predicata ma poco praticata – si sono rivelati molto più forti delle rassicurazioni dell’Eurogruppo. Ai tentennamenti i mercati, impietosi e nervosi, hanno risposto con una diffidenza che ha fatto nuovamente schizzare verso l’alto gli spread. Certo, non siamo soli su questa scialuppa in un mare in tempesta, ci fanno compagnia la Spagna, il Portogallo, oltre a una Grecia perennemente in bilico sul precipizio. Cosa che non è affatto una consolazione, semmai una aggravante. E non abbiamo toccato quel fatidico 7,5% di rendimento che il 9 novembre del 2011 ci fece davvero temere il peggio e ci portò diritti nelle braccia del governo tecnico. Ma una cosa è ormai appurata. Gli investitori, le piazze finanziarie, non hanno riserve di pazienza infinite. Insofferenti alle belle parole, alle dichiarazioni di intenti, ai vertici che non danno forma a una Unione europea che vada oltre la moneta unica, implacabili puniscono l’indecisione e il tergiversare. Senza contare che la speculazione è sempre in agguato. Tanto che nemmeno a dispetto dell’intesa in dirittura d’arrivo i tassi hanno rallentato la corsa. L’interrogativo da porsi è quindi se l’accordo con il quale la Bce rastrellerà titoli di Stato per alleggerire la tensione sarà sufficiente a riportare calma e soprattutto fiducia a lungo termine. O se sarà invece considerato semplicemente una toppa, un rappezzo capace di raffreddare gli spread per un periodo temporaneo, in assenza di una unità politica e quindi di una Unione Europea davvero più forte. Per ora Monti è tornato a Roma incassando una vittoria. Politica, però. Quella finanziaria ed economica non è stata ancora conquistata.
Gioralista economica, e scrittrice. Collabora da anni con il Sole 24ore