Nel mondo del web cresce la ribellione delle donne. Siti, blog, gruppi Facebook, petizioni on line, lettere al ministro del Lavoro con delega alle Pari Opportunità, Elsa Fornero. La richiesta è una sola: ripristinare la legge 188/2007 contro le dimissioni in bianco: una pratica odiosa e illegale che colpisce soprattutto le donne incinte.
Di cosa si tratta? Al momento dell’assunzione alla lavoratrice vengono messi davanti due documenti. Uno è il suo contratto. Magari anche a tempo indeterminato. L’altro è una dichiarazione di dimissioni che però non ha una data, è per l’appunto in bianco, così il datore di lavoro può decidere di usarla in qualsiasi momento decida di farlo. Solitamente, avviene quando la lavoratrice resta incinta per sbarazzarsi di lei, aggirando le leggi che tutelano la maternità. Le statistiche, in Italia, non a caso, parlano di 800.000 donne costrette a licenziarsi con questa pratica prima di diventare madri (secondo l’ultimo Rapporto annuale dell’Istat).
Il fenomeno delle dimissioni forzate, in più, non è certo legato al passato. Anzi. Più le donne sono giovani più è diffuso. Per le lavoratrici nate fra il 1954 e il 1963 la percentuale si ferma al 7,9%, mentre per le donne nate dopo il 1973, ovvero le trentenni e le quarantenni di oggi, tocca quota 13,1%. Se si considera che in media il 15% delle lavoratrici lascia l’impiego dopo aver partorito, questo significa che i licenziamenti volontari rappresentano solo il 2% del totale. Nell’80% dei casi, poi, è impossibile per i lavoratori licenziati in questo modo far valere le proprie ragioni in sede legale.
Una norma approvata dal secondo Governo Prodi, per l’appunto la 188 del 2007 aveva cercato di eliminare il fenomeno. Prevedeva, infatti, l’uso di moduli numerati e validi al massimo 15 giorni per presentare dimissioni volontarie. In questo modo era impossibile “conservare” moduli in bianco fin dal giorno dell’assunzione. La legge, però, è stata cancellata dall’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Il ministro Fornero, sollecitata sull’argomento da diverse parti sociali e politiche, ha assicurato che il problema sta a cuore al Governo Monti in quanto “tale pratica pesa fortemente e negativamente sulla condizione lavorativa delle donne e sulla loro stessa dignità, costituendo una vera e propria” devianza “dai principi di libertà alla base della società civile”. Il ministero ha assicurato Fornero “sta studiando i modi e i tempi di un intervento complessivo, a carattere risolutivo e che, anche grazie all’uso delle tecnologie informatiche, possa garantire, in caso di dimissioni, la certezza dell’identità della lavoratrice, la riservatezza dei dati personali e, soprattutto, la data di rilascio e di validità della lettera di dimissioni”.
In questi ultimi giorni ha anche specificato, però, che “non ritiene che la strada da seguire consista nel ripristinare la disciplina cancellata dall’ultimo governo di Silvio Berlusconi” cioè la legge 188/2007.
Da qui la mobilitazione del mondo delle donne sul web che temono di dover continuare a subire questa pratica illegale nelle aziende se non verranno presi provvedimenti efficaci.
Di cosa si tratta? Al momento dell’assunzione alla lavoratrice vengono messi davanti due documenti. Uno è il suo contratto. Magari anche a tempo indeterminato. L’altro è una dichiarazione di dimissioni che però non ha una data, è per l’appunto in bianco, così il datore di lavoro può decidere di usarla in qualsiasi momento decida di farlo. Solitamente, avviene quando la lavoratrice resta incinta per sbarazzarsi di lei, aggirando le leggi che tutelano la maternità. Le statistiche, in Italia, non a caso, parlano di 800.000 donne costrette a licenziarsi con questa pratica prima di diventare madri (secondo l’ultimo Rapporto annuale dell’Istat).
Il fenomeno delle dimissioni forzate, in più, non è certo legato al passato. Anzi. Più le donne sono giovani più è diffuso. Per le lavoratrici nate fra il 1954 e il 1963 la percentuale si ferma al 7,9%, mentre per le donne nate dopo il 1973, ovvero le trentenni e le quarantenni di oggi, tocca quota 13,1%. Se si considera che in media il 15% delle lavoratrici lascia l’impiego dopo aver partorito, questo significa che i licenziamenti volontari rappresentano solo il 2% del totale. Nell’80% dei casi, poi, è impossibile per i lavoratori licenziati in questo modo far valere le proprie ragioni in sede legale.
Una norma approvata dal secondo Governo Prodi, per l’appunto la 188 del 2007 aveva cercato di eliminare il fenomeno. Prevedeva, infatti, l’uso di moduli numerati e validi al massimo 15 giorni per presentare dimissioni volontarie. In questo modo era impossibile “conservare” moduli in bianco fin dal giorno dell’assunzione. La legge, però, è stata cancellata dall’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Il ministro Fornero, sollecitata sull’argomento da diverse parti sociali e politiche, ha assicurato che il problema sta a cuore al Governo Monti in quanto “tale pratica pesa fortemente e negativamente sulla condizione lavorativa delle donne e sulla loro stessa dignità, costituendo una vera e propria” devianza “dai principi di libertà alla base della società civile”. Il ministero ha assicurato Fornero “sta studiando i modi e i tempi di un intervento complessivo, a carattere risolutivo e che, anche grazie all’uso delle tecnologie informatiche, possa garantire, in caso di dimissioni, la certezza dell’identità della lavoratrice, la riservatezza dei dati personali e, soprattutto, la data di rilascio e di validità della lettera di dimissioni”.
In questi ultimi giorni ha anche specificato, però, che “non ritiene che la strada da seguire consista nel ripristinare la disciplina cancellata dall’ultimo governo di Silvio Berlusconi” cioè la legge 188/2007.
Da qui la mobilitazione del mondo delle donne sul web che temono di dover continuare a subire questa pratica illegale nelle aziende se non verranno presi provvedimenti efficaci.