Un excursus storico, dalla metà del XX secolo alla situazione attuale
di Studio Reina
( 28 ottobre 2009) – Il “Commercio con l’Estero” italiano, nell’accezione moderna, ha il suo decollo nella seconda metà del XX secolo. Erano quelli anni di grandissimo fervore economico e gli operatori italiani si lanciavano sui mercati internazionali alla ricerca di prodotti di tutti i tipi ma, soprattutto di quei generi sconosciuti in una Italia che era uscita perdente e devastata dalla Seconda Guerra Mondiale e che non poteva offrire sui mercati in esportazione niente di più che prodotti agricoli: essi cominciarono a scontrarsi con un realtà legislativa nazionale nel campo del Commercio Internazionale che aveva come pietra angolare il Regio Decreto Legge del 14 novembre 1926 n° 1923 e successive direttive parziali e settoriali, spesso non organiche l’una all’altra (importante è la Disciplina degli Scambi con l’Estero – Decreto Legge 6.6.1956 n’ 476 – convertito nella Legge 25.7.1956 – 786).
Il concetto di base è che tutto è vietato all’importazione ed all’esportazione salvo le merci che vengono autorizzate dopo aver esaminato caso per caso i motivi dell’importazione o esportazione stessa. Di qui l’approfondimento, la ricerca delle fonti, la frequentazione costante dell’allora neonato Ministero del Commercio con l’Estero – mente pensante di tutte quelle disposizioni applicate poi in pratica dalla allora Direzione Generale delle Dogane del Ministero delle Finanze.
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Negli anni Sessanta l’Italia cominciava ad essere nel pieno del suo “Boom Economico”. I desiderata ed i bisogni marginali degli Italiani aumentavano in maniera esponenziale e, soprattutto una prospettiva di vita migliore si affacciava anche per le classi meno abbienti. Finalmente era possibile rifornirsi di quei generi – anche alimentari – un tempo esclusivi delle classi sociali più privilegiate: un tipico esempio è l’aumento della richiesta di carne bovina sul mercato nazionale. Fino ad allora – soprattutto fuori dalle grandi città – non esistevano le macellerie cosi come le intendiamo oggi, ma la carne veniva venduta come ogni genere alimentare in spacci e, di solito, una volta alla settimana.
Ha grande sviluppo il consumo di prodotti alimentari di origine animale e, su richiesta di aziende, soprattutto del Nord Italia, si studiano nuove strategie per l’importazione della carne bovina (per la prima volta si importa carne bovina congelata, destinata soprattutto alla trasformazione) ed i Paesi scelti per l’approvvigionamento del mercato nazionale sono quelli dell’Est Europeo dove il rapporto qualità/prezzo e la vicinanza con il nostro mercato ottimizzava ogni operazione di importazione.
Naturalmente tutto questo mette in condizione gli operatori Italiani in esportazione di penetrare quei mercati con prodotti italiani legati alla zootecnia ed alla agricoltura più in generale: macchinari agricoli, stalle meccanizzate, macelli completamente automatizzati, silos di stivaggio per i mangimi: tutti prodotti ad alto contenuto tecnologico (naturalmente confrontandoli con le tecnologie a disposizione dei Paesi Oltrecortina).
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Viene firmato il Trattato di Roma che istituisce il Mercato Comune Europeo ed allora tutta la Legislazione Nazionale viene affiancata, quando non ne deriva, dalla Regolamentazione Comunitaria.
Si aggiunge quindi alla Legislazione Italiana, già difficile del settore, la nuova Legislazione Comunitaria ed il marasma diventa completo. Spesso Regolamenti Comunitari vanno in senso diametralmente opposto alle disposizioni Nazionali e per dirimere questioni nate da questa dicotomia ci si rivolge alla Alta Corte di Giustizia dell’ Aja. Per risolvere almeno in parte questo problema viene emesso, per armonizzare le disposizioni italiane con quelle europee, il D.M. 6.5.1976, meglio conosciuto come “Regime delle Importazioni delle Merci”. E’ il primo testo organico italiano che mette ordine nei rapporti economici dell’Italia con l’estero. Questo Decreto viene affiancato alla cosiddetta “Tabella Export” che detta il Regime delle Esportazioni delle Merci (D.M. 10.1.1975). Il concetto descritto prima viene modificato nel senso che si possono importare determinati prodotti, a determinate condizioni dettate da Accordi Commerciali Internazionali di solito stilati e discussi in sede comunitaria, e si possono esportare tutti quei prodotti che non depauperano il patrimonio artistico, culturale, artigianale italiano e che non sono sensibili ai fini strategici e militari.
A quei tempi la situazione internazionale non è delle più rosee: la riduzione della estrazione petrolifera da parte dei paesi produttori da vita ad una crisi mondiale, ma soprattutto ad una crisi italiana. Stretta creditizia e blocco valutario fanno perdere competitività alle Piccole e Medie Imprese nazionali; all’estero, soprattutto nei cosiddetti paesi emergenti del subcontinente indiano e del sud est asiatico fioriscono nuove economie basate sulla manifattura a basso costo: è qui la debacle italiana.
La nostra economia, basata soprattutto sulla trasformazione di materie prime o di semilavorati in prodotti finiti, non riesce più a tenere testa all’aggressività dei Paesi emergenti. Nonostante la deregulation valutaria voluta nel 1988 dal Ministro del Commercio con l’Estero Renato Ruggiero la nostra economia non decolla: troppi anni e troppe risorse si sono spese per provvedimenti tampone che mai hanno dato una svolta strutturalmente apprezzabile al nostro Paese.
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Nel 1992 la Legge Finanziaria varata dal Governo Amato cerca di dare respiro ad una economia ormai stremata da anni di malgoverno e corruzione, ma non ci riesce.
Tutto questo è spiegato dal fatto che il nostro Paese ha sempre basato la sua economia industriale e manifatturiera sulla trasformazione di materie prime acquistate al di fuori dell’ Unione Europea; in quegli anni si evidenzia che le nostre aziende non riescono ad essere competitive neanche con i partners comunitari in quanto, acquistando le materie prime in Paesi dell’area del dollaro, una volta aggiunto il costo della trasformazione, il prodotto finito aveva un costo finale troppo alto. Quindi c’è un ristagno sia sulle importazioni di materie prime fino all’esaurimento delle scorte, sia sulle esportazioni di prodotto finito che non riusciva ad essere competitivo sui mercati internazionali.
La mancanza di una grande platea di interessati all’evolversi della politica commerciale internazionale ed italiana non ha consentito la piena comprensione dei fenomeni indotti dall’estero sulla nostra economia (vedi crollo delle borse del Sud Est Asiatico). Il potere politico, nei suoi programmi di governo o di opposizione non ha mai tenuto conto del fatto che, analizzando l’andamento dei flussi e delle qualità delle merci importate o esportate, si potevano fare precise previsioni sull’evoluzione di vari fenomeni che avrebbero poi inciso profondamente sul tessuto economico e sociale italiano. Inoltre nessuno ha mai pensato, in un’ottica di globalizzazione selvaggia, (e soltanto ora i Sindacati sembrano rendersene conto) che l’aumento delle importazioni di prodotti finiti avrebbe creato scompiglio nella forza lavoro italiana con la scomparsa di migliaia di piccole aziende manifatturiere.
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Nel 1993 entra in vigore il Mercato Unico Europeo e vengono abbattute tutte le barriere doganali tra i Paesi della Unione Europea. Il nostro Ministero del Commercio con l’Estero diventa un esecutore fedele di tutto quanto viene stabilito dagli Organi dell’ Unione e ,tra l’altro, la rete informatica di collegamento tra l’Unione Europea e il Ministero (SIGL – Sistema Integrato Gestione Licenze) fornisce, per esempio, in tempo reale tutti i dati relativi alle emittende Licenze di Importazione per prodotti tessili originari da Paesi Terzi Accordisti.
Molte comunicazioni tra gli operatori del settore e il Ministero stesso avvengono per posta elettronica e tanti problemi che fino a qualche tempo fa dovevano essere trattati personalmente con i funzionari preposti, sono risolti in tempo reale.
Con il passare degli anni la configurazione dell’operatore nel Commercio Estero è sostanzialmente cambiata, infatti mentre negli anni settanta – contestualmente all’aumento dei consumi primari – la maggior parte degli operatori era costituita da Aziende e Ditte soprattutto del comparto agro-alimentare essendo necessario importare per fornire quel cibo – la carne – che ormai era alla portata di tutte le borse ma non sufficientemente prodotto in Italia; negli anni ottanta/novanta gli operatori non sono più Aziende di piccole dimensioni, ma grandi società commerciali che, trasferendo il know-how italiano all’estero si occupano, con loro limitate maestranze, di far produrre merci di ogni tipo da commercializzarsi in Italia e in tutta l’Unione Europea (fenomeno della “delocalizzazione delle imprese”).
In questa fase nasce per le Aziende Italiane la possibilità di rendersi “internazionali”: il concetto è sì quello di produrre all’estero, ma per penetrare mercati diversi da quello di origine con prodotti di qualità “italiana” – cioè alta – a prezzi competitivi con quelli delle aziende – soprattutto – dell’ Estremo Oriente.
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L’allora Ministero del Commercio con l’Estero sviluppa dal 1997 un settore dedicato all’ “internazionalizzazione dell’ imprese” che tuttora accompagna le Aziende produttrici nell’approccio di mercati utili per il loro sviluppo. Con il supporto operativo dell’ Istituto Commercio Estero si può finalmente contare su una organizzazione capillare mondiale che indirizza le Aziende e le accompagna nella penetrazione dei mercati.
L’avvento dell’informatizzazione consente l’accesso a tutte le risorse offerte dalle reti per adire quei siti specializzati che sono ai più sconosciuti e che permettono di seguire in tempo reale l’evoluzione dei processi innescati dalla globalizzazione dei mercati. Attraverso le reti telematiche si riesce ad avere un quadro chiaro sull’andamento delle correnti di traffico delle merci da e verso tutti i Paesi del Mondo e si possono fare delle previsioni sull’aumento o sulla diminuzione delle importazioni di determinati prodotti a secondo dell’andamento delle Borse dei Paesi Fornitori: sicuramente da quel Paese dove la Borsa è in crisi aumenteranno le importazioni di merci.
I contatti commerciali tra Paesi distanti migliaia di chilometri avvengono per posta elettronica con scambio di informazioni e di documenti necessari a portare a termine una qualsiasi trattativa che in anni passati avrebbe richiesto mesi. Le spedizioni delle merci sono semplificate dal continuo contatto tra le reti informatiche ed i trackings logistici; anche nel nostro Paese molti documenti commerciali vengono accettati in forma digitalizzata; la maggior parte della documentazione doganale si richiede ed ottiene per vie informatica; permessi, autorizzazioni, certificati necessari per lo sdoganamento delle merci si possono ottenere attraverso i network operativi dei vari Paesi dell’ Unione.
Con la crisi economica degli ultimi anni – innescata dai noti problemi – c’è stato un certo rallentamento nell’ andamento dei mercati internazionali dovuto soprattutto alla restrizione dei consumi con relativa diminuzione delle produzioni a livello mondiale. L’Italia ha sì risentito della crisi ma non come altri Paesi ed è sicuro che – grazie alla dinamicità ed alla flessibilità delle nostre Aziende – potremo affrontare il futuro con ottimismo grazie alla nostra determinazione.