Chi non conosce la leggenda di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda? O di sua moglie Ginevra e dell’amore che la regina nutriva per Lancillotto, il più osannato tra i cavalieri del re? O del Mago Merlino che con la sua potente magia determinò il destino di un regno? O di Excalibur la spada che, una volta estratta dalla roccia, consentì ad Artù di diventare re d’Inghilterra.
Sicuramente molti di noi hanno avuto modo di leggerne le gesta o, di assistere a film che raccontavano le loro vicende, in particolare la storia o leggenda della “spada nella roccia” che è anche uno dei più classici cartoni animati di Walt Disney, dove appunto si racconta la storia di un ragazzo, un garzone di fornaio detto semola, che riesce ad estrarre una spada conficcata in un’incudine, senza sapere che ciò gli darà diritto a diventare re d’Inghilterra con il nome di Artù
La storia di re Artù è affascinante ed è ammantata di mistero e di magia, peccato però che sembra essere solo una leggenda e che in Inghilterra, la spada nella roccia, non sia mai esistita…ma la leggenda arturiana, si intreccia in maniera decisamente affascinante con la realtà, e per l’esattezza con una realtà tutta italiana.
Siamo nella Toscana del XII secolo, poco lontani da Siena, in un paesino chiamato Chiusdino. Qui, nel 1148, nasce, da Guido e Dionisa, Galgano Guidotti. I suoi genitori avevano per lungo tempo atteso l’arrivo di un figlio, tanto da recarsi in pellegrinaggio verso la Basilica di San Michele sul Monte Gargano, in Puglia, da qui forse deriva il suo nome. Il giovane Galgano è affascinato dalla cavalleria è dopo aver avuto una visione di San Michele, decide di diventare egli stesso un cavaliere. La sua vita a quel punto, viene segnata da un comportamento libertino e dissoluto, simile a quella degli altri cavalieri del tempo che vivevano questi atteggiamenti come prova di forza e vitalità, finalizzata ad affermare il loro dominio. Col passare del tempo, però, Galgano si rende conto dell’inutilità del suo modo di vivere, provando il tormento di non avere uno scopo di vita.
In questo stato d’animo matura in lui la voglia di cambiare e decide di ritirarsi sulla collina di Montesiepi, a poca distanza da Chiusdino. Decide di dedicare i suoi anni a venire a Dio e di vivere come un eremita. Impugnata la sua spada, la conficca in una roccia, e davanti all’elsa, che si erge come una croce, egli pregherà. Era il 1180 e l’intero anno successivo viene segnato dai miracoli di Galgano, che muore di stenti il 3 dicembre del 1181. La sua beatificazione avviene in soli 3 giorni e nel 1185 papa Urbano III lo proclama Santo. Di lui rimane solo il teschio, conservato nella chiesa di Chiusdino, da cui si racconta crescessero capelli biondi, tanto da nominare San Galgano protettore dei calvi. Il resto del corpo non è mai stato trovato, sebbene alcuni testi indichino come luogo di sepoltura l’area intorno alla spada. Sul luogo è stata poi costruita una chiesetta, con una particolare volta dipinta con cerchi concentrici bianchi e neri.
La spada è ancora oggi conficcata nella roccia. E su questo mistero sono iniziate le indagini di alcuni ricercatori delle Università di Pavia, Milano, Padova e Siena. I risultati hanno confermato che l’elsa che emerge dalla roccia appartiene a una intera spada realmente conficcata nella roccia.
A qualche centinaio di metri di distanza dalla collinetta su cui sorge la chiesetta dove è custodita la “spada nella roccia”, si trovano i resti dell’abbazia dedicata al Santo ed iniziata a costruire il secolo successivo alla sua morte. L’abbazia, ormai senza tetto, e con un prato al posto del pavimento è immersa in un luogo quasi magico in cui circa 830 anni fa, certamente si svolsero eventi straordinari. Il luogo è talmente suggestivo che, il grande regista russo, Andrej Tarkowskij, lo scelse come scenario per uno dei suoi ultimi film: Nostalghia.
L’abbazia di San Galgano risale esattamente al 1218 è una struttura imponente in stile gotico ed è davvero un colpo d’occhio per chi la incontra per la prima volta, sia per l’isolamento e quindi la sacralità che emana, sia per la particolarità di non avere copertura, caratteristica che la rende ancora più affine ai templi pagani (anche se la copertura fu tolta in seguito) perchè elemento sacro in contatto con la natura circostante. Trasmette una sensazione unica per chi avesse la fortuna di fermarsi la notte, trovarsi in una chiesa e avere come copertura un cielo stellato non è qualcosa che si trova in ogni angolo della terra. Ne vale davvero la pena.
L’abbazia raggiunse fino al XIV secolo, una ricchezza e un rispetto notevole, tale da contenderla tra il papato e la Repubblica di Siena. Purtroppo dopo tanto splendore avvenne una grande decadenza, che la adibì addirittura a magazzino di materiale edili, vendendo addirittura il tetto di piombo per farne munizioni e trasformandola nel rudere che è oggi. Nonostante questo, o magari anche grazie a questo, mantiene oggi un’aura di unico mistero che inevitabilmente colpisce chiunque se ne avvicini.
Molto è stato fatto per studiarne la geometria sacra, confrontata non solo all’abbazia di Chartres, ma anche alle antiche strutture egizie. Pare che gli stessi architetti lavorarono anche per le abbazie di Fossanova e Casamari, particolarmente ricche di simili simbologie numeriche e strutturali.
Anche se non voluta, la corrispondenza con i templi egizi di Akhenathon è forte. Questo faraone dal Dio unico aveva infatti fatto svanire tutti i tetti dei templi perchè considerava vera dimora del Dio quella struttura senza copertura, nella quale il sole poteva entrare e di conseguenza la divinità. E, guarda caso, è proprio in luoghi come questi, aperti sul cielo, che si percepisce maggiormente la presenza di Dio.
uno dei miti che preferisco! la somiglianza con Akhenathon non la sapevo! ho imparato una cosa nuova, mi piace sempre imparare cose nuove!