È una bella retrospettiva quella che la Tate Britain di Londra ha consacrato, fino al 15 maggio, a Susan Hiller, artista antropologa, forse poco conosciuta in Italia, dall’approccio concettuale raffinato e sensibile che affronta temi densi di significati, con spirito metodico e applicando la sua scienza alla sua visione dell’Arte come in: Le evanescenti tracce degli ebrei in Germania, ma anche l’inventario delle lingue in via di estinzione, Livoniano, Lenape, Wampanoag e linguaggio fischiato delle Canarie, dove su uno schermo nero appare la traduzione di alcune parole della colonna sonora. Un altro pezzo altrettanto iconico, intitolato “Dieci mesi” (del 1977), allinea le foto della sua pancia, riprese dall’alto secondo lo stesso punto di vista, per tutto il periodo della gravidanza raggruppata in dieci mesi lunari di 28 giorni: una semplicità di mezzi per un lavoro femminista e concettuale.
Un’altra installazione presente, già presentata al Museo di Freud Londra entra in risonanza con il collezionismo maniacale di Sigmund Freud stesso: non è solo un tassello di storia, una Mnemosine, ma piuttosto un’interferenza con questa eredità, una deriva sull’ancora, una mostra di equivoci, incomprensioni, dubbi. E comprende decine di scatole di cartone, con testi (da Duchamp alla storia degli ebrei di Francoforte) e reliquie (nativi americani, antichi aborigeni), parla di sogni, fantasmi, di religione e divinazione.
Una parte del suo lavoro poi, è interessato alla presenza degli assenti tra noi. l video “Psi Girls” mostrano le capacità paranormali di cinque ragazze, in spezzoni di film di Hollywood. La sala dedicata a “Witness” è particolarmente impressionante, riunisce centinaia di mini altoparlanti fluorescenti appesi al soffitto in una strana composizione di buio e luce, ogni trasmissione è una testimonianza sugli UFO. Si entra nella penombra, e si naviga tra i fili sospesi, immersi nella luce, e scegliendo un altoparlante a caso, riconoscendo un linguaggio comune, si ascoltano strane storie che turbano (foto).
Il pezzo più bello, comunque, è un muro memoriale in cui sono riprodotte quaranta lapidi tombali della fine del XIX secolo, fotografate in un cimitero di Londra, ciascuno in onore di un eroe comune, che ha sacrificato la propria vita per salvare il suo prossimo dal fuoco, dall’annegamento o dalle sabbie mobili. Le lapidi sono disposte a croce, il motivo centrale è un tag “Sforzatevi di essere un eroe”. Guardiamo questa installazione in piedi in mezzo agli altri visitatori, poi ci si siede da solo sulla panchina, girando le spalle al monumento, diventando anche noi una componente dell’esperienza visiva degli altri spettatori e ascoltando una colonna sonora in cui Susan Hiller parla di morte e di assenza. Si tratta di un’installazione particolarmente toccante, soprattutto perché il nostro cambiamento di posizione fa di noi una parte pregnante dell’opera.
Susan Hiller, poi, opera molto con la voce, il linguaggio: altri ambienti come “Sisters of Menon” trattano di telepatia e scrittura automatica.
Cè anche la possibilità di vedere le sue prime opere, dove, abbandonando la pittura, distrugge i suoi quadri, riciclandoli in blocchi di tessuto, ricami murali o cenere, la creazione di nuove parti da quelle distrutte.
Molti dei suoi pezzi sono omaggi a Klein, Broodthaers, Marcel Duchamp. Davvero amabile quest’omaggio a Beuys, “The Water Tao”, un piccolo armadietto contenente bottiglie adeguatamente etichettate contenenti le acque sacre dal Gange a Lourdes: il sacro potere di queste acque, l’energia mistica che trasmettono sembra essere assorbita dal rivestimento in feltro dell’armadietto.
Quello che piace di più Susan Hiller, è la sua capacità di proporre un analitico, sistematico mondo, per individuare i fenomeni che ci dice: “presentarli in un contesto che è sia concettuale e sensibile”.
12 febbraio 2011