Gli archeologi dell’università La Sapienza hanno individuato a Kirbet al-Batrawi, in Giordania, un edificio che con ogni probabilità è il palazzo reale dato alle fiamme nell’attacco finale che concluse la vita plurisecolare della città, nel III millennio avanti Cristo. L’annuncio della scoperta, risalente ad appena tre settimane fa, è stato dato a Parigi, nel corso dell’XI Congresso internazionale sulla storia e archeologia della Giordania, dove Lorenzo Nigro, il docente di Archeologia orientale che ha guidato la spedizione, ha presentato i dati raccolti nella campagna di scavi appena conclusa, iniziata nel 2009
Durante gli scavi sono emersi reperti ceramici in straordinario stato di conservazione che rappresentano il corpus di forme più completo mai rinvenuto nel Levante meridionale per l’epoca in questione: si tratta di circa un centinaio di vasi interi (la maggior parte ancora contenenti i resti carbonizzati di quello che custodivano) servizi da mensa, nonché vasetti miniaturistici decorati. Fra i reperti trovati ci sono anche quattro asce di rame: un autentico “miracolo” se si pensa che finora erano noti solo altri cinque esemplari risalenti a quest’epoca (l’età del Bronzo antico III, 2700-2300 a.C.).
“Abbiamo iniziato a scavare a Kirbet al-Batrawi nel 2005, perché volevamo sapere fin dove arrivava il regno dei Cananei, di cui faceva parte anche Gerico – dichiara al VELINO il professor Nigro -. Abbiamo scoperto che questa città-stato, che non si conosceva, aveva un raggio di circa 30 chilometri e al suo interno aveva centri minori che mandavano prodotti, come le giare olearie, nel palazzo reale: è la prova di un antichissimo e complesso sistema di organizzazione sociale. Essendo all’estrema periferia del regno, questa scoperta fa supporre che il deserto siro-arabico era attraversato dalle rotte carovaniere e che quindi conserva tesori mai neppure ipotizzati”. Pezzo forte della scoperta, un tornio da vasaio, strumento che innescò una vera e propria rivoluzione produttiva nell’area. Costituito da una blocco di pietra di 40 cm come base e da disco di basalto levigato poco più piccoli, permetteva una produzione seriale di vasellame, in un’epoca in cui ogni oggetto era un costoso e prezioso unicum. Il fatto di aver trovato questa innovazione nel Palazzo reale è la conferma che a Kirbet al-Batrawi esisteva un potere centrale abbastanza forte da controllare la gestione della tecnologia più avanzata e da poter stipendiare un artigiano preposto alla produzione di vasi per le necessità regali. “Finora si conosce solo un altro caso coevo simile, in Israele, trovato da alcuni archeologi francesi”, puntualizza Nigro. Le ultime scoperte sull’insediamento di Batrawi, portato alla luce nel dicembre 2004, la confermano come una delle prime città-stato del Levante meridionale del III millennio. L’insediamento è parte di un sistema di urbanizzazione diffusa del territorio circostante, all’interno del quale c’è anche la coeva Gericho, altra città in cui opera la missione dell’ateneo romano. Da sei anni l’ateneo della Capitale effettua missioni in Giordania, composte da una ventina di persone (metà dei quali studenti, che spesso devono perfino pagarsi il biglietto aereo). L’ultima spedizione che ha portato alla portentosa scoperta è stata davvero “low cost”, visto che è costata appena novemila euro, seimila dei quali arrivati dalla Farnesina.
23 giugno 2010