Alcune nazioni “preferirebbero” la Grecia fuori dall’Euro? Parrebbe di sì. Chi sono gli Eurofalchi? E perché tra di loro ci sono anche Paesi come Slovacchia e Lettonia?
Magari non lo dicono apertamente ma ci sono molti Paesi che probabilmente vorrebbero la Grecia fuori dall’Euro, anche dopo il difficilissimo accordo sottoscritto dopo una maratona negoziale durata settimane. E le ragioni sono essenzialmente di due tipi: ci sono Paesi che hanno già avviato durissime politiche di tagli della spesa e di austerità che vedono per la Grecia un trattamento “troppo addomesticato”.
Ci sono altre nazioni che invece non vogliono più aprire i cordoni della borsa per aiutare uno stato che ritengono, a torto o a ragione, non più salvabile, o semplicemente non affidabile.
I “falchi” che non vogliono più rimetterci un Euro
Germania in primis. Ma anche Olanda, Finlandia. Sono quei Paesi che non vogliono più perdere soldi seguendo (quelle che lo ritengono) le piroette greche. La cartina al tornasole dell’atteggiamento dei “falchi” è riscontrabile in due punti fermi dell’accordo: nessun taglio del debito greco (l’intesa raggiunta parla solo di riduzione dell’interesse e discussione sulle tempistiche) e fondo ad hoc su cui convogliare i soldi delle privatizzazioni.
Questo fondo doveva originariamente avere sede persino oltre i confini ellenici, in Lussemburgo, ma è stato poi deciso di tenerlo ad Atene e servirà a fare da “garanzia” per i nuovi prestiti europei. Gli asset greci (si parla della rete elettrica, del porto del Pireo, delle ferrovie statali, di miniere, delle aziende municipali di Salonicco e della capitale Atene) saranno trasferiti al fondo che resterà indipendente dal governo e che avrà il compito di dare il via alle privatizzazioni. Queste dovranno portare 50 miliardi di Euro: metà di questi soldi, 25 miliardi, andranno a dare liquidità tramite ricapitalizzazioni agli istituti bancari ellenici. Il resto sarà usato al 50% per l’abbattimento del debito e al 50%  per investimenti.
La metodologia di un fondo indipendente che si occupi di privatizzare il privatizzabile è un chiaro segnale nella pochissima stima verso la politica greca e nel desiderio di avere un “controvalore” di garanzia all’aiuto che si sta portando.
I “falchi” che non sanno cosa dire alle loro opinioni pubbliche dopo anni di austeritÃ
Paesi come Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, ma anche, seppur in misura minore, Belgio, Spagna, Irlanda, hanno avuto una posizione piuttosto dura con la Grecia. La motivazione? Possiamo utilizzare le parole del primo ministro slovacco Robert Fico “Slovakia managed to carry out reforms then Greece has to be able to do it, too, there is no room for mercy from our side”. Che andando all’osso significa: se noi siamo stati in grado di fare le riforme anche la Grecia deve esserlo. Non c’è spazio per la pietà da parte nostra.
Un esempio: Lettonia, 2008, crisi economica di dimensioni storiche con il fallimento di una delle maggiori banche nazionali. Viene negoziato un prestito con il Fondo Monetario Internazionale per 7 miliardi di Euro. In cambio si effettueranno numerosi tagli alla spesa tra cui il licenziamento di oltre il 30% del personale del pubblico impiego e una riduzione dei salari dei dipendenti pubblici del 30%. Misure che portarono ovviamente gravi ripercussioni interne ma che riuscirono a “stabilizzare” l’economia tanto che nel 2013 per il paese baltico è stata possibile l’entrata nell’Euro.
Quindi: noi abbiamo sudato, accettato misure molto dure per entrare nell’Euro o per rientrare nei parametri europei. Non possiamo accettare atteggiamenti diversi, più morbidi, nei vostri confronti. Anche perché poi chi lo va a dire ai nostri elettori? Ecco, quest’ultima parte è la più rilevante.
La crescita di partiti come Podemos, Syriza, ma anche Movimento 5 stelle, che apertamente mettono in discussione “austerità ” (concetto in verità alquanto vago e spesso usato retoricamente) ma a volte anche lo stesso Euro e l’U.E., è vista dai partiti “tradizionali” con grande preoccupazione.
Ecco la ragione della durezza verso i greci: è un modo per “parlare” ai propri elettori, ha insomma anche una valenza di politica interna.
Quelli che sperano non accada a loro
Nel recente passato l’Italia era in condizioni non dissimili da quelle della Grecia. Costretta ad accettare un duro piano con l’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio corrente (con stop alla crescita degli stipendi dei dipendenti pubblici e delle rivalutazioni delle pensioni, innalzamento dell’età pensionabile, blocco del turnover ecc.). La situazione non è esattamente migliorata, il nostro debito pubblico è schizzato alle stelle anche in conseguenza del fatto che abbiamo un Pil che solo da pochi mesi è tornato, in modo debolissimo, a crescere. Molto ci ha aiutato il piano di acquisti della Bce tramite il meccanismo del quantitative easing.
Quindi siamo tra i Paesi che possono temere che la situazione greca si riproponga per loro e che hanno cercato di mediare e ammorbidire le posizioni. Insieme all’Italia, anche i “vicini di casa” Malta e Cipro e la Francia sono state le nazioni che hanno mantenuto un atteggiamento maggiormente volto alla ricerca di un compromesso.
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