La discutibile e rigida politica europea del rigore, portata avanti dalla Merkel, appoggiata da Sarkozy, sostenuta anche da Bce e Fmi, si scontra con la realtà , ma era prevedibile, e spinge il popolo greco a reagire democraticamente, almeno per ora, punendo, grazie alle votazioni politiche che si sono tenute ieri nel paese ellenico, i due principali partiti, individuati come responsabili della crisi. Ne traggono vantaggio le estremità di destra e di sinistra, i partiti più radicali e meno propensi al dialogo che rappresentano bene l’esasperazione dei greci, ai quali sono state imposte a tavolino, misure troppo pesanti e penalizzanti perché passassero senza che ci fosse una reazione di questa natura: una cura peggiore del male. Secondo le prime proiezioni, Nea Dimokratia di Antonis Samaras ha ottenuto il 19,2% dei consensi contro il 33,5% ottenuto nelle precedenti elezioni e il Pasok di Evangelos Venizelos ha avuto il 13,6% contro il 43,9% del 2009, scavalcato al secondo posto dalla sinistra radicale (Syriza) con il 16,3%. In Parlamento, oltre alla soglia di sbarramento del 3%, entra anche l’estrema destra di Alba dorata con il 7% dei consensi, i comunisti del KKE con l’8,5%, i Greci indipendenti (formazione di destra) con il 10,5% e Sinistra democratica con il 6%. Se i risultati ufficiali confermeranno le proiezioni, Nea Dimokratia e Pasok avrebbero in tutto 151 seggi (109 i conservatori, 42 i socialisti) sui 300 del Parlamento. E i leader di entrambi i partiti maggiori hanno già parlato di alleanza di governo, mentre alla sinistra radicale (Syriza) andrebbero 50 parlamentari. Il leader di Nea Dimokratia ha proposto la formazione di un ”governo di salvezza nazionale” e sulla stessa lunghezza d’onda il numero uno del Pasok, nella speranza di includere anche la sinistra di Syriza, il cui leader, Alexis Tsipras, si è sempre opposto alle misure di austerity. Toni forti vengono invece dai neonazisti di Alba dorata, con il leader Nikos Michaloliakos ad assicurare che il suo partito combatterà contro la ”schiavitù” dell’accordo sul debito imposto ad Atene da Ue e Fmi, paragonandolo a una ”dittatura”.