La Giordania ha incominciato una serie di raid aerei contro l’Isis in Siria dopo l’assassinio del suo pilota. Gli Stati Uniti intanto stanno ipotizzando un aiuto diretto all’avanzata dell’esercito irakeno su Mosul e il nord del Paese.
Riassumendo: nel territorio che si estende tra l’Iraq settentrionale e buona parte della Siria è in atto da tempo una guerra durissima. Dopo l’abbattimento del dittatore Saddam Hussein e la lunga occupazione occidentale, il territorio irakeno è caduto in una sorta di limbo in cui diverse sue parti sono sotto il controllo di fazioni differenti.
E la stessa cosa è accaduta in Siria dove le truppe leali al “presidente” Assad controllano meno della metà della nazione. Tra i vari gruppi che lottano in questa zona (curdi, cellule affiliate ad Al Queda, Esercito Libero Siriano) c’è ovviamente l’Isis, che in questi mesi abbiamo incominciato, tristemente, a conoscere.
La Giordania è ormai in guerra con l’Isis
Alcuni Paesi del Golfo, intimoriti dalla crescita del territorio controllato dall’Isis, si erano fino a questo momento mossi abbastanza in modo “non ufficiale” nella zona. Piloti girdani, emiratini, forse anche sauditi, avevano condotto raid su obiettivi specifici controllato dall’Esercito del Levante.
Dopo l’assassinio terribile del pilota giordano che era stato abbattuto nel territorio controllato dall’Isis (e il successivo fallimento della trattativa per liberarlo) la Giardania ha incominciato una serie di attacchi aerei dichiarando di aver liquidato il 20% del potenziale dell’autoproclamato califfato. Quanto queste dichiarazioni corrispondano a verità è difficile dirlo: di fatto però non si può che constatare che la Giordania è a tutti gli effetti in guerra in Siria.
L’esercito irakeno prepara l’attacco di terra (con appoggio diretto Usa)
L’attuale stagione non è favorevole ad un intervento via terra. Così i media Usa (ad es. la Cnn che ha citato una fonte interna al Dipartimento alla difesa) hanno indicato il mese di aprile il momento in cui l’esercito irakeno potrà condurre un’offensiva nella parte nord del paese, attualmente in larga parte nelle mani dell’Isis.
Un intervento logistico statunitense è dato per certo, mentre si parla anche di gruppi di marines che potrebbero sostenere l’avanzata irakena, in particolare su Mosul. Vista la ferocia del comportamento di Isis con i prigionieri è ovviamente una decisione molto rischiosa per gli stessi Stati Uniti che nell’eventualità di loro soldati prigionieri pagherebbero potentemente anche in termini di immagine.
La frammentazione del paese complica tutto
I territori irakeni in mano all’Isis sono abitati da sunniti. I quali probabilmente non vedrebbero di buon occhio che a scacciare l’Isis ci fossero milizie a maggioranza sciita.
Inoltre il tipo di scontro che si dovrebbe combattere a Mosul (ma anche nelle altre importanti città sunnite del nord, Tikrit, Falluja, quelle che un tempo erano il fulcro anche del consenso di Saddam Hussein) sarebbe in contesti urbani molto difficili per un “attaccante” e con un’elevata densità di civili, per cui anche il sostegno aereo dovrebbe essere limitato.
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