Nove anni fa la nuova Pearl Harbor americana. Come nel 1941 l’America è colta al risveglio, quando il gigante sta per destarsi e rimettersi in moto. Allora per inesperienza o superficialità la squadriglia giapponese è scambiata per uno stormo di bombardieri americani che doveva rientrare alla base e l’allarme viene dato in ritardo. Anche nove anni fa i caccia si levano in volo quando ormai le due torri sono già colpite e il terzo aereo è già sul Pentagono.
Solo il quarto viene intercettato. Gli aerei sono stati dirottati da 19 terroristi di Al Qaeda comandati da Mohammed Atta e divisi in quattro nuclei, e poi lanciati sugli obiettivi. Delle 2965 vittime dell’attacco (cifra che include WTC, Pentagono e volo 93) quasi la metà non sono state identificate. Circa 800 hanno un nome grazie al Dna. A nove anni dal massacro vengono ancora ritrovati dei resti: l’ultima volta è avvenuto alla fine di giugno durante lavori di scavo vicino a Ground Zero quando sono emersi 72 «reperti». Ancora oggi molte cose sono oscure. Tra le tante, perché tutti i messaggi di pericolo imminente passati all’intelligence americana, sono stati ignorati o sottovalutati. Informazioni considerate generiche, minacce definite «non specifiche» ma che se analizzate con un occhio più attento avrebbero forse fermato la macchina distruttrice. I responsabili della sicurezza dovevano incrociarle con quanto predicava da un decennio Bin Laden. Ai terroristi jihadisti va riconosciuta una dote: cercano di mantenere quello che promettono. Guai sottovalutarli. Pericoloso sottostimare la loro fantasia criminale, pur se velleitaria. La mancanza di immaginazione dei servizi di sicurezza – come ha sottolineato la Commissione di inchiesta – ha, infatti, permesso ai complottatori di procedere sotto il radar. L’altra grande incognita è, come 4 dilettanti abbiano potuto pilotare aerei così complessi e centrare gli obiettivi prefissati senza margine d’errore. Quello della preparazione dei «piloti» resta uno dei punti oscuri della trama e che verrà sottolineato da molti, compreso il presidente egiziano Mubarak. Ex ufficiale di aviazione, vecchia volpe del Medio Oriente, avanza dei dubbi. A suo giudizio hanno eseguito una manovra troppo complessa per dei principianti. Bin Laden e i suoi seguaci hanno acceso il fuoco, ora fanno da spettatori. Di tanto in tanto lo alimentano con qualche strage, oppure sfruttano l’aiuto di chi soffia sul fuoco, come l’idea di bruciare il Corano da parte di un sedicente predicatore pazzo, oppure costruire una moschea a due passi da Ground Zero.
di A.A
11 settembre 2010