Tutto sta in uno sguardo lungo, un colpo d’occhio che abbraccia il futuro. Ma in gran parte del mondo manca, e l’Italia non fa certo eccezione. Anzi. Lo sguardo è miope, timoroso, distratto, vile. Si ferma all’emergenza, al titolo sul giornale, al clamore. Poi si perde, si offusca.
L’indignazione arretra come bassa marea, portandosi dietro l’orrore, la rabbia, il dolore. Ci ha pensato un’antropologa e parlamentare messicana, Marcela Lagarde, a coniare un po’ di anni fa il termine femminicidio, per indicare le violenze sulle donne commesse dagli uomini. Fisiche, psicologiche, economiche. Spesso l’epilogo è l’omicidio, che è solo la punta dell’iceberg: secondo l’Istat oltre il 90% degli abusi commessi in ambito domestico da un padre, da un marito, da un fidanzato, da un ex compagno, non vengono denunciati. Nel 2004 in Italia sono state state uccise 101 donne. L’anno scorso sono salite a 119. Lo Stato, le istituzioni, si mobilitano davanti all’emergenza, all’assistenza immediata. Si fermano, guardano altrove, di fronte a una richiesta di prevenzione che richiede un impegno a lungo termine, massiccio e sistematico. Nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, nei centri di aggregazione sociale, nelle Asl, nei consultori, nei mass media, negli enti locali: ovunque. Richiede volontà politica, e investimenti sull’educazione, per modificare un impianto culturale incardinato su una mentalità patriarcale. Richiede risorse per aumentare il tasso femminile di occupazione, per garantire alle donne una autonomia economica che le affranchi dal ricatto. Ma così non è. Con il risultato, come dice giustamente Chiara Cretella , che “la violenza di genere è considerata ancora un problema femminile”. Chiara è l’organizzatrice del festival “La violenza illustrata”. Pensate un po’: è l’unica manifestazione in Italia dedicata specificatamente al problema degli abusi sulle donne, si ripete da cinque anni a Bologna con finanziamenti ridotti all’osso e costantemente in diminuzione. Alla prima edizione ricevette 5mila euro da una fondazione bancaria. Quest’anno – si volge dal 16 al 27 novembre – deve accontentarsi della metà della somma. Il Comune ha dato mille euro; una banca, la Cgil, le coop ne hanno tirati fuori insieme altri 1500. Stop. Tutto pesa sulle spalle della Casa delle donne di Bologna, che la organizza con l’autofinanziamento e il volontariato. E che spiega come, alla richiesta di risorse per iniziative che cercano di incidere sulla cultura, quasi tutti facciano spallucce. E’ più facile dare risposta all’emergenza che porsi l’obiettivo di smantellare il maschilismo. E’ una battaglia di civiltà ma pochi sono disposti a combatterla. A Firenze qualche piccolo passo in avanti è stato fatto, con l’apertura, in collaborazione con l’Asl, di un centro di assistenza rivolto agli uomini maltrattanti, sul modello delle esperienze maturate negli avanzati Paesi scandinavi. Sappiamo che le trasformazioni culturali chiedono tempo e una classe politica all’altezza della sfida. Sappiamo che è molto facile e persino liberatorio, quando una donna viene uccisa, attribuire al carnefice di turno l’etichetta di mostro: ci risparmia il confronto con la realtà, permettendoci di guardare altrove, di abbeverarci di normalità, di non sollevare il velo dietro il quale si cela un pietrificante sommerso di misoginia. Eppure non ci sono alternative per fermare la carneficina. Le donne lo sanno.
26 ottobre 2010