Da oggi in poi niente più pettegolezzi in ufficio. Il rischio è di beccarsi una denuncia per diffamazione e per violazione della privacy. La Cassazione ha emanato una sentenza che in pratica stoppa una delle attività più diffuse negli ambienti di lavoro: un lavoratore che, per rancore nei riguardi di un collega, diffonde tali notizie, commette diffamazione e violazione della privacy. Con la sentenza n. 44940 del 2 dicembre 2011, la Cassazione ha confermato la condanna emessa dalla Corte di appello di Torino nei riguardi di un impiegato, rigettandone il ricorso, che ha divulgato in ufficio informazioni private su una collega, acquisite e raccolte tramite un investigatore privato. Sul tema, stabilisce la Suprema Corte, c’è parecchia “ipocrisia” ma il pettegolezzo sulle relazioni in ufficio viola la privacy di chi si trova al centro delle chiacchiere. La quinta sezione penale, in linea con la Corte di merito, ha ritenuto l’uomo e l’investigatore, colpevoli del reato di diffamazione, sottolineando che “all’elemento materiale del delitto di diffamazione, non e’ dubbio che la diffusione all’interno del ristretto ambito lavorativo della notizia della esistenza di una relazione, sentimentale e sessuale, clandestina tra due impiegati può avere natura diffamatoria, specie se uno dei due è sposato. E’ pur vero che la condotta adulterina fu, nel caso di specie, addebitata, al suo amante (l’unico che fosse coniugato), ma è altrettanto vero, che la riprovazione sociale (anche se, spesso, materiata da una non trascurabile dose di ipocrisia) colpisce, solitamente, in casi del genere, entrambi i partner, d’altronde, anche in assenza di valutazioni “morali” da parte di terzi, fatti del genere sono oggetto di malevolo pettegolezzo”. Sul fronte della privacy Piazza Cavour ha spiegato che “il trattamento dei dati personali, effettuato da un soggetto privato per fini esclusivamente personali è soggetto alle disposizioni della normativa sulla privacy, tanto se i dati siano destinati a una comunicazione sistematica, quanto se siano destinati alla diffusione. E, in tal caso, è necessario il consenso dell’interessato”.