Alcuni giornali hanno titolato “l’Italia si adegua”. Il riflesso del pensiero dominante: si accetta di concedere spazio alle donne per non rimanere tagliati fuori dall’Europa. Il percorso che ha portato al via libera, da parte della commissione Finanze al Senato, al ddl che impone una quota di presenza femminile pari al 30% nei consigli di amministrazione e negli organi di controllo delle società quotate e delle controllate pubbliche, ne è la prova: è arrivato dopo un braccio di ferro. Il governo voleva far slittare la scadenza dell’entrata a regime della normativa nel 2020, alla fine ha prevalso un emendamento che la anticipa al 2015. Significa che, salvo imboscate, le quote rosa andranno a regime più velocemente, ma comunque non prima di quattro anni. Nonostante tutto – questa è la morale – le donne possono ancora attendere. Nonostante il Paese sia confinato nei posti più bassi nelle classifiche internazionali sulla politica a tutela dei diritti delle donne e sulla parità di genere. Nonostante la presenza femminile nei luoghi di comando del Paese sia ridotta al lumicino, come confermano tutte le statistiche. Il gender gap, semplicemente, non è considerato un problema nazionale. La lotta all’ingiustizia che vede le donne pagare un prezzo altissimo alla maternità , che è un valore sociale e come tale andrebbe tutelato, non viene considerata una emergenza, a dispetto del fatto che un terzo di noi lascia il posto di lavoro alla nascita del primo figlio. Il Paese, come hanno scritto alcuni commentatori, si è adeguato a togliere posti di potere agli uomini solo per avvicinarsi maggiormente all’Europa. Ma con calma, con prudenza, prendendo ancora tempo. Il dibattito sulle quote, si sa, è aperto da anni. C’è chi le considera umilianti, chi invece ritiene che siano l’unico strumento per permettere alla donne, in una società dominata da una cultura patriarcale, di farsi strada. In Norvegia il problema lo hanno risolto da tempo con l’introduzione di quote pari al 50%. Una riforma che nel Paese scandinavo ha portato a un cambiamento radicale: dobbiamo prendere esempio. Siamo convinte che nessuna, tra noi, pensa che le donne siano migliori. Ma crediamo al contempo che la nostra valorizzazione e l’eliminazione delle disparità di genere, vadano di pari passo con la valorizzazione del merito. Crediamo che sia un esercizio di piena democrazia garantire alla metà della popolazione – perchè di questo stiamo parlando – le stesse opportunità che vengono riconosciute agli uomini. E che il Paese debba mettere al centro della propria agenda, insieme al lavoro e al sostegno alla ripresa economica, la questione femminile. Per non escludere dai vertici, discriminandola, metà della popolazione
di Redazione
14 marzo 2011
E’ vero che dovremmo aspettare fino al 2015 per vedere dei progressi o comunque dei risultati significativi che evidenzino una maggiore presenza di donne nei cda, ma almeno è già qualcosa…
Io non sarei così pessimista! Sono sicura che l’Italia ci metterà un pò ad accettare questa “nuova emancipazione femminile” ma alla fine saprà essere all’altezza deglia ltri paesi europei!
io mi auguro che l’Italia non sia un paese tanto retrogrado e maschilista da ignorare non solo il ddl ma anche e soprattutto la voce e la dignità di noi donne!
E’ vero ci hanno messe di nuovo in attesa, ma ricordiamoci che l’Europa ci sta con il fiato sul collo e questa volta l’Italia non può sbagliare, quindi io per una volta sarei fiduciosa…
Nessuna di noi ha mai pensato di rinunciare a lottare, solo che a volte è così difficile! Insomma qui di parla di far rispettare una legge! Se neppure così riusciamo a far valere i nostri diritti, allora non so proprio cos’altro potremmo mai fare!
Noi donne italiane sappiamo attendere, perchè lo facciamo da una vita! ci vogliono discriminare ancora nonostante il ddl, che lo facciano pure, ma non si aspettino che noi ci arrendiamo!