(2 novembre 2009) – In Gran Bretagna è in aumento la sindrome di Down nelle diagnosi prenatali. Purtroppo si parla di un vero e proprio boom a cui ha fatto seguito un doloroso incremento degli aborti, infatti i bimbi nati con questa sindrome, sono scesi all’1%.
Secondo il British Medical Journal in soli 20 anni l’aumento della sindrome di Down nelle diagnosi prenatali è stato del 70%. Per gli esperti la colpa è da attribuire all’età delle madri che decidono di avere un figlio sempre più avanti negli anni, la media è intorno ai 35 anni. In Italia le donne over 35 in dolce attesa sono il 15%. Per queste donne sale il rischio di malformazioni fetali, infatti se sotto ai 30 anni il rischio di avere un bimbo Down è molto basso, dopo i 35 anni la possibilità è di 1 su 200.
Fondamentale la prevenzione che inizia con la consapevolezza che l’ètà avanzata dei genitori aumenta il rischio. La diagnostica ha compiuto passi da gigante, già dai primi mesi di gestazione, è possibile effettuare una serie di esami che permettono di verificare se il nascituro sarà affetto da questa sindrome. Dalla decima/undicesima settimana (anche la nona secondo alcuni esperti) è possibile sottoporsi alla villo centesi: il prelevamento di villi coriali, cioè di cellule dalle quali si sviluppa la placenta. Dalla sedicesima o diciassettesima settimana di gestazione è possibile sottoporsi all’amniocentesi: il prelievo dall’utero di liquido amniotico.
Questi esami comportano un rischio, sebbene minimo, di aborto (uno ogni 200-125) e sono consigliati alle gestanti con più di 35 anni. Con un semplice esame del sangue materno prelevato fra la quindicesima e la ventesima settimana di gestazione, si effettua il tri-test che serve a valutare i livelli ematici di tre sostanze: la beta hcg, l’estriolo e l’alfafetoproteina per ricavarne una stima sulla probabilità di rischio che il feto abbia la trisomia 21. Se il risultato del tri-test dovesse superare i livelli di guardia, è consigliabile l’amniocentesi.