Tenendo lontano il dibattito politico sulla divisione delle carriere tra pubblico ministero e giudice, certamente apprezzabile, purché il Pubblico Ministero non finisca anch’esso sotto il controllo della politica, appare da più parti legittima la necessità di una riforma del processo vuoi penale che civile, volta a diminuire i tempi dei processi ed a rendere più efficace la certezza della pena.
Su quest’ultimo punto forse è lecito precisare, in termini tecnici, che la pena è assolutamente certa e questo lo si evince dall’insieme di norme che regolamentano la fase di esecuzione della stessa e che ne consente riduzioni nel rispetto di alcuni presupposti
Risulta, quindi, del tutto demagogico e privo di significato sostenere che non v’è certezza della pena perché, taluno condannato a “n” anni di reclusione possa essere visto nella propria abitazione a metà condanna agli arresti domiciliari, poiché tutto ciò è il risultato di un insieme di norme, certe, anche se complesse e di scientifica applicazione che rendono certa e legale tale facoltà. Sulla legittimità di tale norma poi si potrà anche dissentire per modificare, sempreché ritenuto necessario, la fase di esecuzione della pena ma non certo per affermare che della stessa non vi sia certezza.
Sui tempi poi, vuoi del processo penale che di quello civile, l’unica chiave di volta si chiama informatizzazione. Non sfruttare in tempi brevi, su tutto il territorio nazionale, tale opportunità intesa quale rivoluzione dell’organizzazione degli uffici giudiziari, precluderà alla nostra nazione di poter competere ma soprattutto non consentirà a tutti i consociati di avere giustizia, anche se fallibile.
Un deciso dissenso viene proposto nei confronti di chi intende modificare i “riti processuali” e cioè le forme secondo cui il processo si dovrebbe svolgere. Chi ha introdotto il c. d. rito societario ne ha visto l’insuccesso e la relativa abrogazione. Ma quanto è costato tutto ciò: affrontare la riforma di un rito processuale significa per tutti gli operatori, partecipare a convegni, conoscere la dottrina e quindi il pensiero degli esponenti più qualificato del settore e successivamente confrontarsi con la fase applicativa in Tribunale che normalmente si traduce in una giurisprudenza più o meno conforme dopo un quinquennio. Quali sono allora i costi che ogni operatore deve affrontare che si trasforma poi in un costo per il cliente.
Le riforme devono tendere anche alla riduzione dei costi della giustizia uniformando i riti (prevedendo solo un sommario, speciale, ordinario), e prendendo magari come riferimento il rito lavoro, ormai stra-collaudato e con una giurisprudenza conforme (per quanto la giurisprudenza possa considerarsi tale), uniformando e semplificando le procedure, con l’introduzione della telematica, che consenta risparmi sui tempi e costi consentendo anche l’udienza in videoconferenza, con archivi telematici e scannerizzati. Immaginate quanti immobili potrebbero essere ceduti anziché essere destinati a cancellerie insicure ed aule di tribunali sovraffollate; quanto traffico veicolare ci sarebbe in meno. Con il benefico risultato di abbattere i costi della giustizia per tutti.
L’ultima riforma del processo civile, senza voler essere esaustivi sul punto, ha avuto il pregio di abrogare il rito societario, consentire ai giudici di essere più sintetici nella fase di estensione della sentenza, ma ha nuovamente peccato, introducendo un ulteriore “rito sommario” che poi così non sarà, poiché la definizione dello stesso sarà subordinato a quante cause risultino già assegnate al giudice cui verrà destinato. Ci si augura, infine, un maggior intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, che possano, con successo, conferire un indirizzo univoco alla giurisprudenza di legittimità.