E’ arrivato il giorno della verità sulla manovra economica con il vertice dell’ora di pranzo da Silvio Berlusconi, ma le avvisaglie della vigilia non promettono nulla di buono. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti è da giorni sotto ‘assedio’ per le indiscrezioni trapelate sulla manovra che non piacciono a nessuno: nè ai pidiellini ‘capeggiati’ dal sottosegretario Guido Crosetto per il quale la ricetta tremontiana è “da psichiatri”, nè alla Lega Nord sempre più distante dal super ministro. E non è affatto scontato che lui, Giulio, partecipi alla riunione a Palazzo Grazioli: anzi, in molti assicurano che non ci sarà e che è pronto a minacciare le dimissioni. Lo pensano anche alcuni giornali: “Repubblica” titola oggi “Tremonti pronto alle dimissioni” mentre “Libero” scrive addirittura a caratteri cubitali “Giulio vuol farsi cacciare” ipotizzando che cerchi “Il martirio” per poi proporsi come premier.
Comunque la segreteria federale del Carroccio, ieri, ha decretato un giudizio più che negativo sulla manovra ribadendo un secco no alla possibilità di un innalzamento dell’età pensionabile ma anche a tagli considerati “insostenibili” dai sindaci del Nord che sono “al limite della sopportazione”. Anche il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, pur con tono diverso rispetto a quello di Crosetto, ha chiesto di conoscere nel dettaglio l’articolazione del provvedimento per valutarne “la qualità e non solo la quantità”.
E Berlusconi? Ieri il premier ha taciuto per l’intera giornata dopo che domenica aveva difeso il proprio governo sostenendo di avere una maggioranza “forte e coesa”. Quello che è certo è che il Cavaliere oggi cercherà di ricomporre i malumori ma senza cedere: la manovra non può essere subita ma va condivisa. Per l’opposizione, invece, la missione è impossibile: il segretario del Pd Pierluigi Bersani chiede il voto, il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini si espone per un ‘governo di emergenza’ ma comunque sia per l’uno e per l’altro la stagione berlusconiana è finita.
La manovra pensata da Tremonti prevede l’abolizione dell’irap gradualmente fino al 2014, tre sole tre aliquote Irpef, al 20, 30 e 40% (invece delle 5 attuali), ma anche l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie già dal 2012 con l’introduzione di un’aliquota unica al 20% per finanziare la riduzione delle tasse. C’è poi l’ipotesi di aumento di un punto dell’Iva, mentre dal disboscamento della selva di bonus e agevolazioni fiscali il governo punta a incassare fino a un massimo di 16 miliardi.